
“Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti”.
Questa è la conclusione della celebre Fenomenologia di Mike Bongiorno, che Umberto Eco scrisse nel 1961, e che rimane sostanzialmente valida. Mi pare significativo che lo scritto di Eco sia del 1961, anno del primo centenario dell’unità d’Italia, e che i funerali di Stato di MB avvengano oggi, alle soglie del 150° anniversario. Perché quello di cui è questione è appunto l’unità d’Italia. Infatti è vulgata che l’unità del Paese sia una cosa anzitutto linguistica, e che l’abbia realizzata la televisione, e che di questa impresa un grande artefice sia stato MB. Dunque, come unificatore della nazione egli meriterebbe i funerali coi sommi onori. Egli è anche uno dei co-creatori dell’uomo italiano medio di oggi, che si affida alla fortuna, che pensa che la cultura sia composta di un mucchio di nozioni, che intende la vita buona come vita rilassata e intrattenuta, senza pensieri, se non quello di pagare meno tasse. Anche per questo moltissimi italiani lo amano, lo vedono quasi come un padre o un nonno: e colgono perfettamente la realtà. Quei pochi che oggi si indignano per i funerali di Stato di un intrattenitore-venditore televisivo sbagliano totalmente.
MB è all’origine di tutta la televisione di oggi, ne è il grande padre. Egli è anche il padre assoluto della semplificazione del linguaggio comunicativo, e tutti i politici di oggi gli devono per questo essere grati. Infine egli è sommo venditore, in grado di promuovere la vendita di qualsiasi prodotto, indifferente alla sua qualità reale e al suo uso. Supremamente berlusconiano. Nessuno come lui, che a 85 anni si stava impegnando in una nuova impresa mediatico-commerciale, rappresenta le aspirazioni dell’italiano medio contemporaneo.
E si dovrebbe aggiungere la sfera erotica, che MB, sposatosi tre volte, lambiva continuamente nei suoi programmi, talvolta rasentando il cattivo gusto, ma sempre sulla base di un fondamentale patto con gli spettatori, che Eco aveva già perfettamente colto: io sono un divo che è esattamente come tutti voi, senza alcuna qualità in più. E anche a voi piace il sesso, nevvero? E questo sta anche all’origine dei fenomeni come i reality e la TV spazzatura di ogni tipo, che tendono a accentuare l’uguaglianza verso il basso, mostrando vuoto il Centro verso cui tutti tendiamo, oppure occupato da persone che noi potremmo perfettamente sostituire, e che quindi sono là per mera contingenza, non per intrinseco valore. Cosa che da un lato depotenzia il risentimento, che è massimo verso ciò che nella sfera sociale appare come realmente divino; ma dall’altro accentua fino alla frenesia la competizione tra coloro che sono nella Periferia e sgomitano per aprirsi la strada verso il Centro.
Gli onori resi alla salma di un presentatore televisivo, reso celebre in Italia dai quiz in cui il sapere è ridotto ad espediente per conquistare con poca fatica somme di denaro anche ingenti, quiz che per decenni gli insegnanti hanno indicato ai loro allievi come esempio di quel che la cultura non è, ci dicono moltissimo sull’indole degli Italiani, sulla struttura della società, e sui meccanismi proiettivi su cui si regge il potere della televisione.
Come sempre molto acuto e convincente. Mi permetto tuttavia di nutrire il sospetto che i funerali di stato di Mike Bongiorno siano, per ovvi motivi, del tutto contingenti all’attuale monocrazia. Semmai, è un ulteriore esempio di indegna commistione fra pubblico interesse e privato interesse, peraltro cifra innegabile della parabola politica di Berlusconi.
A me sembra esagerato vedere in un individuo la causa di quei fenomeni, se non era lui era un altro, fondamentalmente non trovo che siamo tanto differenti dai nostri vicini.
Se vuoi dire che gli umani sono tanto simili da essere intercambiabili non sono assolutamente d’accordo. Estremizzando si potrebbe dire di Napoleone: se non era lui era un altro…
Io penso che i sistemi sociali accumulino delle cariche che prima o poi incrociano un innesco adeguato, che sarà giocoforza costituito da un certo intreccio di vicende umane. Se Napoleone fosse morto in culla, le cariche che egli ha cavalcato avrebbero seguito altri percorsi, ma non si sarebbero certo annichilite. Se Mike Bongiorno si fosse dato all’ippica, penso che la televisione, per non dire della società italiana, non sarebbe affatto diversa da quella che è.
Capisco, ma non condivido. Secondo me, se Napoleone, Cesare o Alessandro non fossero nati, le cose del mondo sarebbero state molto differenti. Il nazismo senza Hitler o il sovietismo senza Stalin sono impensabili. Come il berlusconismo senza Berlusconi. E questo vale altresì a livelli più bassi. Ma la tua posizione non mi sorprende affatto. Tu riduci tendenzialmente infatti – il tuo linguaggio lo esprime chiaramente – l’umano a meccanismo. E’ perfettamente coerente con la tua visione scientistica della realtà, che è separata dalla mia da un abisso.
Non vi è proprio nulla di “meccanico” in sistemi complessi, i cui anelli intrecciati di retroazione (che sfuggono ad ogni analisi predittiva) conducono a comportamenti caotici, laddove piccolissimi scostamenti smuoveranno frane enormi di conseguenze. Ma è come variare il seme di una formula frattale: l’immagine cambia completamente ma mantiene un’aria di famiglia. Certo senza Alessandro Magno, Cesare e Napoleone, Hitler e Stalin, ma anche un numero immane di “coincidenze” a noi per sempre ignote, la forma della storia sarebbe stata differente. Ma ci sarebbero stati ugualmente stati in competizione, progresso tecnologico, nuove religioni, guerre e disastri, magari totali. Il rapporto causale fra la coscienza dell’individuo, la sua psicologia, e le conseguenze che le sue azioni vanno a provocare è evanescente. Ma a qualche favola bisogna pure aggrapparsi.
Sì, nel tuo “sistema” la libertà dell’essere umano – da cui deriva la sua particolare storicità – totalmente altra da quella naturale – è una favola. Per me è la realtà suprema e fondativa. Noi parliamo due lingue differenti – cosa che è anch’essa una conseguenza della libertà umana.
Nessuno ha chiarito meglio di Bergson questa polarità del comprendere, che per lui era intuizione e intelligenza. Ma col due si fa poco. Bisogna arrivare alla sintesi del tre. Che è l’azione. Nell’azione forma e materia, necessità e libertà sono inseparabili.
Ma perché dovrei negare la “libertà” dell’essere umano? La sperimento io stesso: sono libero di “deliberare”, ovvero scegliere in piena coscienza, e relativa previsione delle conseguenze, sopra un mucchio di faccende, soprattutto, si capisce, quelle che non vanno a pestare direttamente i piedi di qualche mio simile. Non vedo nelle mie parole, e nelle mie concezione, ciò che tu ci hai visto.
Quella che si dà entro i limiti posti dalla libertà altrui è la libertà socio-politica dell’orizzonte borghese liberale. La libertà quale l’intendevo io è quella della scelta radicale, che può essere anche quella di distruggere l’altro. E’ una libertà metafisica.
Quanto all'”azione” come sintesi, il discorso sarebbe lungo. Certo l'”azione” come era pensata nel quadro delle “filosofie della vita” dei tempi di Bergson mi sembra altra cosa dalle “opere” cristiane. Ma si tratta di un discorso davvero complesso (e mi sovviene la “Vita activa” della Arendt…).
Certo, possiamo distruggere l’altro per scelta metafisica, come Raskolnikov, oppure per semplice necessità “vitale” (e si sa in quante guise stravaganti, ma ugualmente spietate, le necessità si possano configurare nell’uomo)… ho perso però l’essenza del nostro contendere, quindi sarà il caso di rifiatare. Stimolante comunque. Ciao