Volgiamo lo sguardo intorno a noi. Quello che Schopenhauer chiama dappochezza, cioè il non valore (e per non valore intendo i gruppi umani concreti in cui prevalgono i bassi istinti e l’utilitarismo ad essi collegato) che instaura il suo potere mediante la mistificazione, per consolidarla ed estenderla, perché può sussistere e soggiogare le masse solo attraverso di essa, questo non valore oggi trionfa ovunque, mediato socialmente dai media. Ma la cosa più rilevante in ciò è questa: mentre nella prima fase dello sviluppo mediatico occidentale i media si autoconcepivano come mediatori di qualcosa che aveva la sua origine e il suo fondamento in altro, e non nel medium stesso (da ciò il nome), ora i media si intendono come la fonte stessa del valore, ovvero il medium media se stesso.
È anche per questo che l’informazione è caduta così in basso, non informa più su nulla, o quasi. Di qui anche nei notiziari le ossessive comunicazioni circa lo share dei programmi della rete cui il singolo tg appartiene, comunicazioni che non interessano minimamente gli spettatori ma servono a sottolineare l’autoreferenzialità del medium. La mediaticità da accidente è fatta sostanza, quindi la sua funzione muta. Essa si pone come eidolon, e proclama che chi non le appartiene non è. Di fronte a questo eidolon, la casta dei chierici ha compiuto un tradimento ben più grave di quello denunciato a suo tempo da Benda.
Si danno molti generi di bellezza, ma una sola verità, allo stesso modo che esistono molte muse, e una sola Minerva. Per questo appunto il poeta può sdegnare tranquillamente di frustare ciò che non vale; il filosofo invece può trovarsi nella situazione di doverlo fare. La dappochezza infatti, una volta affermatasi, si oppone ostilmente proprio a ciò che vale, e l’erbaccia invadente soffoca la pianta utile. La filosofia è per sua natura esclusiva, e stabilisce anzi il modo di pensare di un’epoca: come i figli dei sultani, così anche un sistema dominante non ne tollera nessun altro accanto a sé. A ciò si aggiunga che il giudizio in proposito è sommamente difficile, e che anzi è già faticoso il conseguimento dei dati che lo condizionano. Se quindi il falso viene messo in circolazione con artifizi, e viene ovunque proclamato da prezzolate voci stentoree come vero e autentico, lo spirito dell’epoca ne viene avvelenato, la corruzione si estende a tutti i rami della letteratura, ogni più alto slancio spirituale si arresta, e a ciò che realmente è buono e genuino sotto ogni riguardo viene a trovarsi contrapposto un baluardo che resiste a lungo.
Arthur Schopenhauer, La filosofia delle università, trad. it. di G. Colli, Adelphi 1992, p.44
Se permetti, Fabio, riprenderò prossimamente le tue osservazioni sui media, applicate al mio lungo discorso sulle disavventure della pedagogia che sta diventando un libro. Per constatare quant’è vero quello che dici, basta vedere cos’era la TV degli anni Sessanta (sceneggiati dai Promessi Sposi, dai Miserabili da Dostoevskij) paragonata alla tv del talk show e del reality di oggi. Una socialità che contiene solo se stessa.
La tv di allora si intendeva come “pedagogica”. Ora si sostiene che era “bacchettona”… ma oggi assistiamo alla situazione esattamente contraria: la “trasgressione” è eretta a norma, fino a divenire parte essenziale del sentire comune. Un rovesciamento sul quale non si è ancora riflettuto abbastanza… A mio parere si tratta di una estensione, volgarizzazione e perversione di un nucleo fondante del romanticismo…
Il romanticismo aveva il sostegno di una pretesa “rivoluzione sentimentale”. Qui direi che siamo alla rassegnazione del brago.
L’ha ribloggato su Brotture.