Il romanzo di Gaetano Cappelli Il primo (Marsilio, Venezia 2005) è stato scritto per un certo ambiente anzitutto, e ad esso parla in un certo modo, e questo parlare è lo strato più superficiale e immediatamente leggibile del testo. L’ambiente è quello intellettuale cui Cappelli appartiene e che ben conosce (case editrici, salotti, artisti, editors, gente di spettacolo e di televisione, e la folla immensa degli aspiranti scrittori—gente spesso meschina, ignorante e sanza lettere—che premono insistono si fanno in quattro per poter ottenere ciò che tutto il loro essere brama: la pubblicazione).
Ma il libro nel sistema del mercato è un oggetto che potenzialmente si rivolge ad ogni ambiente, ad ogni lettore. E io, che sono un estraneo a quell’ambiente, non mi sono chiesto quali scrittori italiani siano presenti nella storia sotto (parzialmente) mentite spoglie. Mi sono chiesto, invece, quale sia il senso complessivo di questo romanzo meta-metaromanzo. Se ne potrebbe fare un’analisi attenta, decostruendone tutte le scene e i passaggi fondamentali, evidenziando i rimandi a luoghi canonici della letteratura e della metaletteratura dell’ultimo secolo. Si potrebbe insistere sull’aspetto tipico del romanzo di formazione con provinciale povero e capace che cerca il successo nella capitale, infilzando una serie di citazioni da Illusioni perdute in avanti. O sulla rottura della convenzione romanzesca operata con l’immissione dell’autore prima come personaggio secondario poi come arbitro supremo della vicenda, a conclusione della stessa. Ma è un gioco che il testo di Cappelli a mio parere, nonostante le apparenze—e forse le convinzioni dello scrittore stesso— rifiuta. Qui per me la cosa più interessante è un’altra. Questo non è un romanzo sugli ambienti editoriali e sui neoscrittori, ma, come dice il titolo, è un romanzo sulla priorità. L’io scrivente, con cui Cappelli gioca in modo palese, e palesissimo nelle ultime pagine, è dominato da quello che René Girard chiama desiderio metafisico. Guido Cieli desidera essere il suo rivale, colui che fin dall’inizio appare desiderato da tutti e da tutte, senza che se ne capisca la vera cagione (poiché l’aspetto attraente di Fabio non è certo sufficiente a spiegarlo, né appaiono altre doti). E desidera essere lui perché è assolutamente risentito nei suoi confronti. La domanda che sta alla base di ogni risentimento “perché il vero Essere e la vera Felicità stanno presso di lui, che non li merita, e non presso di me, che li merito”, che è la domanda di Caino, potrebbe essere l’epigrafe del libro di Cappelli e il motto del suo personaggio. Non v’è alcuna forzatura dunque nella storia se ad un certo punto Guido ordina l’assassinio di Fabio, ma solo logica consequenzialità. La dialettica della priorità, per cui essa viene attribuita ad un altro per poterlo invidiare e per poter quindi giustificare i propri difetti, la propria mancanza di sostanza, di Essere, e per poter rivendicare la priorità stessa mediante la soppressione dell’altro, è la dialettica di base dell’umano. Che però, nello stesso tempo in cui avverte la minaccia di annientamento, genera il segno-parola che differisce la violenza e dà luogo allo scambio pacifico dei segni, e alla narrazione, e ad una reciprocità (momentaneamente) non violenta.

del mio concittadino Cappelli ho letto solo “Parenti lontanti”, ho sul comodino “la vedova, il santo e il segreto del pacchero estremo”, ma a questo punto mi procuro anche questo “primo”.
Buona giornata
Luigi