Gli interpreti di Nietzsche si possono dividere in due grandi categorie: quelli che ritengono la sua follia accidentale, un qualcosa da non considerare nemmeno nella lettura delle sue opere, un qualcosa che non ha nulla a che fare con esse; e quelli che pensano che la follia abbia, invece, molto a che fare col senso generale dell’opera di questo filosofo. Io ho sempre pensato al modo di costoro. E proprio per questa ragione ho differito per molto tempo una lettura sistematica di tutti gli scritti di Nietzsche. Questione di feeling. Di solito leggo ciò che mi attrae, e Nietzsche mi respingeva. È andata così, non so se per caso: nei primi anni Ottanta ho letto prima tutto Seneca, poi tutto Nietzsche. L’effetto di straniamento è stato notevole, provare per credere (ci vuole un po’ di tempo). Devo molto, credo, a questa lettura consecutiva, anche se non ho ancora del tutto compreso. Forse si tratta del rapporto tra la vita e la dottrina, per cui, anche, prima di leggermi tutto Nietzsche in successione cronologica mi son letto la sua vita narrata da Janz.
René Girard e Giuseppe Fornari, che appartengono al novero di coloro che pensano che la follia non sia un caso, nel loro Il caso Nietzsche, che reca l’eloquente sottotitolo La ribellione fallita dell’anticristo, (Marietti, Genova-Milano 2002), enucleano queste idee fondamentali: 1) Nietzsche è anzitutto un pensatore religioso, e ha afferrato la natura essenziale del Cristianesimo, che è l’essere dalla parte delle vittime, ma ha deciso di stare dall’altra parte, da quella della vittimizzazione, che è Dioniso, di cui peraltro ha frainteso il carattere collettivo. 2) La morte di Dio è una morte violenta. Nietzsche lo dice apertamente, ma tutti i suoi interpreti hanno immaginato uno spegnimento di Dio per vecchiaia, per consunzione, fraintendendo il senso profondo del messaggio nietzscheano. 3) Comprendere Nietzsche al di fuori del meccanismo mimetico-rivalitario e del rapporto di odio-amore con Richard Wagner è sforzo vano. Nietzsche è autore mimetico e risentito quanto altri mai.
Il libro, che unisce alcuni interventi di Girard ad un saggio di Fornari che ne approfondisce gli aspetti più stimolanti, mi porta infine a quella che per me è la questione per eccellenza: cos’è esattamente quella caduta nel sacrificale, di cui qui non si parla, ma senza la quale la storia del Cristianesimo non sarebbe stata quella che è stata, e senza la quale esso avrebbe trovato amici e nemici differenti da quelli che ha trovato? A prescindere da questo libro, devo dire che trovo anche non del tutto chiaro in Girard il rapporto tra la violenza fondatrice (endogena e centripeta) del gruppo, e la guerra esterna (profana o santa che sia).