di Eros Barone
I nostri due amici, Caio e Mevio, approfittando di una delle prime, tardive giornate di sole offerte da questa avara primavera, passeggiano lungo la via Aurelia a Genova, in prossimità del monumento di Quarto dei Mille. Il luogo storico e il momento politico impongono, con la loro forza simbolica e concreta, il tema della conversazione.
Caio: gli eventi che si sono susseguiti in queste ultime settimane hanno messo a nudo il tarlo che rode l’unità nazionale del nostro paese. Non credi, Mevio, che questo sia, per le sue dimensioni e implicazioni, il principale problema dell’Italia e una delle più gravi responsabilità politiche che lascia dietro di sé Berlusconi?
Mevio: sì, Caio, anch’io sono convinto che uno dei problemi che Berlusconi non è riuscito ad affrontare (ammesso che lo abbia mai voluto affrontare) e che lascerà come un’eredità nefasta al nostro paese, è di non essere stato in grado, nonostante l’amplissimo consenso di cui ha goduto, di cementare l’unità nazionale. E, occorre aggiungere, il paese che lascerà è un paese in cui le basi della divisione tra nord e sud sono molto più profonde di quando egli assunse per la prima volta la direzione del governo nel 1994.
Caio: eppure il Cavaliere aveva non solo il compito storico, ma la possibilità storica di dare una risposta decisiva a tale problema grazie al vasto consenso ottenuto sia nel nord che nel sud…
Mevio: non intendo evocare la categoria del ‘lombardismo impolitico’, però mi sembra difficile non tenerne conto. Ricorderai anche tu che nel 2008 il Pdl aveva conseguito una schiacciante vittoria in Sicilia. Ebbene, se quei 61 deputati e senatori eletti in Sicilia sono oggi privi di una rappresentanza unitaria, ciò accade perché le ragioni del Mezzogiorno non hanno ricevuto nemmeno la metà, forse nemmeno un quarto, dell’attenzione prestata ad altre parti d’Italia. Questo è in effetti, come tu dici, il problema principale che si pone oggi in Italia.
Caio: ma io voglio porre una domanda basilare: che cos’è che mina l’unità nazionale? È Bossi? È la Lega Nord? Vale a dire, una formazione politica che introduce dei germi di dissoluzione del paese quando parla contro l’unità nazionale o dei germi di razzismo quando parla di immigrazione o dei germi di antimeridionalismo quando parla di federalismo fiscale.
Mevio: forse questa è una risposta politicamente inadeguata al problema che hai posto, perché, a mio giudizio, la Lega è l’effetto, e non la causa, della mancata soluzione dei problemi del paese: il divario tra nord e sud, uno sviluppo economico meno settoriale e più diffuso, meno rachitico e più robusto, una politica efficace ed equilibrata dell’immigrazione. Personalmente sono convinto che è la mancata risposta a questi problemi che ha creato il terreno di coltura su cui può crescere e prosperare un movimento come la Lega. Da questo punto di vista, se non comprendiamo che è nella crisi del tasso di sviluppo e dell’integrazione che ci sono i germi di una società che si va dividendo sempre di più, rischiamo di non cogliere il significato e la portata dei problemi con cui dobbiamo misurarci.
Caio: sennonché, caro amico, a questo problema si somma e si intreccia la crisi dell’euro…
Mevio: già, l’euro… che io definirei una grande avventura politica ed economica con un tasso di rischio molto elevato. Il paradosso dell’euro nasce proprio da ciò, che la moneta unica è la costruzione finale di uno Stato. La lira nasce dopo l’unificazione dell’Italia, non prima; il dollaro nasce dopo che le colonie inglesi si sono separate dall’Inghilterra e hanno vinto la guerra d’indipendenza. L’euro, invece, è un costrutto artificiale che non ha seguito, ma preceduto la costruzione politica europea.
Caio: un vero paradosso storico… Mi domando come si sia potuto verificare.
Mevio: il problema è che la moneta unica europea nasce all’indomani della caduta del muro di Berlino. In quello stesso momento si aprirono due grandi problemi: il primo fu il destino dell’Europa centro-orientale. Questo problema fu colto con chiarezza da uno studioso liberale, Ralf Dahrendorf, che nel 1990 scrisse un libro intitolato “Sulla rivoluzione in Europa. Lettera immaginaria a un amico di Varsavia”. In questo libro, se l’autore da un lato manifestava la sua soddisfazione per quell’evento, dall’altro invitava a non idolatrare il capitalismo, perché prevedeva che si sarebbe arrivati ad una situazione in cui gli eccessi da combattere non sarebbero più stati quelli del comunismo, ma quelli del capitalismo.
Caio: è esattamente quello che stiamo vedendo nel corso di questa crisi. Una crisi che dura ormai da tre anni.
Mevio: l’altra lucida previsione del politologo tedesco (a meno che, considerando l’azione della Germania in quel periodo, non fosse da leggere come una profezia che si autoadempie) fu che, a causa delle tensioni nazionalistiche mai sopite, poteva scoppiare la guerra in Europa…
Caio: il che fu confermato quasi sùbito dalle secessioni della Slovenia e della Croazia, che, se ben ricordo, dettero il via, con l’immediato riconoscimento della Germania e del Vaticano, alla disintegrazione della Jugoslavia.
Mevio: anche l’euro, come tutte le monete, gronda sangue e sporcizia… Da questa premessa, comunque, i capi di Stato e di governo dell’Europa ricavarono la conseguenza che l’allargamento ai paesi dell’Est era una necessità essenziale per prevenire altre guerre e non doveva essere considerato in contrasto con la moneta unica europea. In altri termini, Mitterrand, Kohl e la Thatcher sostenevano che il dovere degli europei occidentali era quello di offrire ai paesi centro-orientali un quadro di sicurezza come quello che, nel secondo dopoguerra, aveva permesso a paesi come l’Italia, che usciva dal fascismo, come la Germania, che usciva dal nazismo, più tardi come la Spagna, che veniva dal franchismo, come il Portogallo, che veniva da Salazar, e come la Grecia, che aveva fatto l’esperienza della dittatura dei colonnelli, di diventare regimi democratici a tutti gli effetti.
Caio: d’altra parte, vale la pena di sottolineare che, se è vero che la caduta del muro aprì la prospettiva dell’unificazione della Germania, il primo sentimento che si ebbe nelle cancellerie occidentali fu un sentimento di preoccupazione, ben espresso da quel detto secondo cui chi amava la Germania doveva amarla ancora di più al pensiero che ne esistessero due.
Mevio: un detto assai significativo. Ecco perché l’introduzione dell’euro si inquadrò in uno scambio tra il marco e l’unificazione tedesca, all’insegna del principio secondo cui una Germania forte può essere controllata da un’Europa ancora più forte attraverso la conversione del marco in euro. Il limite, che non è mai stato superato, fu che la creazione dell’euro, scelta eminentemente politica e non economica, doveva essere accompagnata dalla creazione di un governo federale europeo con una difesa militare unica, con una politica economica e finanziaria unica, con una politica estera unica, e così via dicendo.
Caio: in sostanza, mi stai dicendo che in questi ultimi venti anni si è creato un vuoto fra due processi: l’allargamento della moneta unica e l’integrazione politica fra i paesi europei. Di fatto, l’euro sta precipitando in questo vuoto…
Mevio: la crisi dell’euro è perciò destinata a continuare, nonostante le riunioni di questi giorni fra i governi e nonostante le decisioni assunte dalla Bce sul tasso di inflazione, perché aver portato la moneta a un rapporto di cambio per cui 100 euro erano arrivati a valere ben 140 dollari non solo ha significato fare dell’euro il rivestimento ‘europeo’ del marco, ma ha significato anche stroncare l’industria italiana e quella di tutti i paesi che, prima dell’introduzione dell’euro, ricorrevano all’arma della svalutazione competitiva.
Caio: del resto, i classici del marxismo ci offrono la chiave per formulare i seguenti assiomi, pienamente confermati dai fatti recenti e meno recenti: a) la crisi italiana ed europea è il riflesso politico della legge economica dello sviluppo ineguale del capitalismo; b) Lenin aveva perfettamente ragione quando definì gli Stati Uniti d’Europa o impossibili (per via di quella legge) o reazionari; c) l’euro è il riflesso monetario della potenza economica della Germania.
Mevio: la conclusione è che l’euro può reggere se non somiglia soltanto al marco, ma anche un po’ al franco, alla lira, alla peseta e perfino alla dracma… L’alternativa che resta è che, se non si fa l’Europa, si fa soltanto l’area allargata della Germania.
Caio: dal canto mio, osservo, completando la tua argomentazione, che, se l’‘euro-marco’ non regge, allora si dovranno ridefinire non solo i confini dell’euro e dell’Europa, ma anche quelli dell’Italia, perché non è difficile prevedere che, se la Grecia e il Portogallo, così come la Spagna e l’Italia uscissero dall’area dell’euro, anche a qualche politico del nord potrebbe venir in mente di uscire dall’Italia…
Mevio, a questo punto, cambia apparentemente discorso e, indicando a Caio il monumento ai Mille, di fronte al quale sono giunti, gli fa notare come la lucentezza quasi scintillante della massa bronzea sia dovuta, oltre che all’ottimo lavoro di restauro che è stato condotto, al dispositivo elettrico che il Comune ha fatto installare per impedire che i piccioni possano lordare con le loro deiezioni un’opera che ricorda e rappresenta il riscatto del nostro paese in Europa e nel mondo.