Il ‘caso Gomorra’

 di Eros Barone

  Nel discutere del ‘caso Saviano’ sembra inevitabile l’oscillazione tra i due estremi del ‘politicamente corretto’ e del ‘socialmente scorretto’, anche se, lo confesso, io propendo per quest’ultima posizione, che mi sembra, dal punto di vista dialettico, più produttiva (così come l’iconoclastia è più stimolante dell’idolatria). Posta questa premessa, mi sembra importante chiarire (non tanto il ‘caso Saviano’ quanto) il ‘caso Gomorra’, ossia i limiti entro cui è possibile riconoscere la paternità letteraria di un testo che è stato sottoposto ad un massiccio lavoro di ‘editing’.

   Orbene, nel giugno del 2008 Antonio Franchini, responsabile Mondadori per la narrativa italiana, smentì con un singolare comunicato le voci che circolavano su tale ‘editing’ e si preoccupò di ribadire che “Gomorra” era stato lavorato secondo le ordinarie modalità cui viene sottoposto ogni testo che arriva a Segrate. Poco importa se si trattasse di una ‘excusatio’ chissà quanto ‘petita’; le domande importanti, e ineludibili, sono infatti altre: che cosa significa “normale” in operazioni di questo tipo? E qual è il confine oltre il quale anche la nozione di autore entra irreversibilmente in crisi, lasciando il posto ad un soggetto la cui voce non è più originaria né originale? Si tratta di interrogativi, come ognuno comprende, cruciali, soprattutto se il narratore si chiama Roberto Saviano, cioè un soggetto che è divenuto un caso politico-culturale, mentre l’‘editor’ è Antonio Franchini, scrittore di notevole livello e originalità, autore di due libri tra i più significativi della narrativa italiana di questo decennio: “Quando vi ucciderete, maestro?” (1996) e “Cronaca della fine” (2003).

   Detto questo, la domanda che sorge a questo punto è: siamo sicuri che ciò che un ‘editor’ dovrebbe fare (vale a dire, essenzialmente, essere un lettore di capacità eccezionali) coincida effettivamente con ciò che gli chiede di fare, in vista del profitto, la casa editrice? E inoltre: se uno scrittore diventa veramente tale grazie ad un bravissimo ‘editor’ , lo diventa perché, in qualche modo, scrittore lo era già o perché il valentissimo ‘editor’ lo ha inventato? Aggiungo soltanto che la risposta a questa domanda implicherebbe, di fatto, anche una valutazione delle scuole di scrittura, dei loro compiti e dei loro limiti. Se infatti un ‘editor’ fosse una sorta di demiurgo capace d’inventare uno scrittore, non vi è dubbio che ciò legittimerebbe quelle scuole e l’idea correlativa della scrittura come tecnica didatticamente trasmissibile. Ma uno scrittore può essere inventato? E se lo si inventa, in che senso ciò accade? In realtà, quel che accade solitamente nelle case editrici è la costruzione di uno scrittore in vista del suo successo commerciale, insomma il suo addomesticamento in funzione della legge della domanda e dell’offerta.

   Concludo pertanto con due osservazioni. La prima è che non deve sorprendere il fatto che, data l’organizzazione capitalistica della cultura, l’‘editor’ sia oggi una figura sempre più imperante nelle case editrici; la seconda è che la figura di Saviano esemplifica in modo paradigmatico gli effetti dello spostamento del confine tra carattere individuale dell’attività letteraria e processo di socializzazione dei prodotti letterari in funzione della massimizzazione delle vendite e del profitto. Tenere conto di questa dialettica tra valore d’uso e valore di scambio, che si manifesta nello specifico come dialettica tra ‘editing’ e paternità letteraria, tra contenuto e forma, tra produzione e ricezione di un’opera, contribuisce ad illuminare aspetti non secondari e, per certi aspetti, determinanti del ‘caso Gomorra’ e dello stesso ‘caso Saviano’.

13 pensieri su “Il ‘caso Gomorra’

  1. Solitamente dissento dalle tesi di Barone. Questa volta tuttavia non posso non concordare con lui. Trovo la figura dell’editor repellente, e nei romanzi che si pubblicano oggi annuso editing quasi ad ogni pagina. Che schifo!
    Ma se nel capitalismo accade questo, è vero che nessuno rischia quello che rischiavano e rischiano gli scrittori nei regimi totalitari fascisti e comunisti.

  2. Sarà che mi occupo per l’appunto di editing – anche se (solo) di testi scolastici –, ma non vi pare (rivolgo la domanda sia a E. Barone sia a F. Brotto) che sarebbe forse più corretto parlare di “invenzione del testo” (nel senso di costruzione di un testo funzionale a uno scopo) che di “invenzione dell’autore”, e che forse a questa invenzione possono benissimo partecipare due o più persone (come a qualsiasi attività umana, secondo le necessità e le possibilità), e che il problema nasce solo dal fatto che ci preoccupiamo troppo della/diamo troppa importanza alla figura dell’autore (demiurgo, prometeo ecc.)?
    Dovrebbe essere il testo – o no? – a porsi al centro dell’attenzione dei lettori; e l’autore non potrebbe essere solo un segnale, un indicatore delle presenza di certi temi trattati in un certo modo, con un certo linguaggio ecc.? Che cosa ci sia “realmente” dietro quel segnale a chi dovrebbe importare?

    1. Io sono ben lungi dall’avere una concezione romantica dell’autore come creatore assoluto. Ma sono lontano anni luce dal “testualismo”. Vedo il libro come una relazione, e in questa relazione per me è importante sapere chi vi partecipa. Per questo, mi dà molto piacere leggere un testo di cui l’autore mi è noto, e il sospetto che un romanzo sia un prodotto di interferenze varie mi disturba. Voglio, per così dire, un responsabile. Vale per un romanzo, un testo di poesia o di filosofia. Io pretendo di sapere chi scrive, chi si rivolge a me, chi mi parla. Con chi discuto. Mi interessa molto sapere se dietro quelle parole c’è una persona o una macchina.

      1. Da un lato mi ritrovo in questa esigenza di individuazione di una responsabilità: penso infatti che la scrittura di un testo costituisca sempre (al pari di ogni altro atto umano) una presa di posizione politica, etica ecc.; dall’altro lato, però, mi pare un po’ eccessiva l’opposizione persona vs. macchina.
        Siamo sicuri che un editor che sia «lettore di capacità eccezionali» e che non miri alla distorsione in senso commerciale (o politico) dell’opera lasci (nella sostanza e non solo in copertina) all’autore l’intera responsabilità di quanto in essa è espresso? La dialettica che tra i due può instaurarsi potrebbe essere decisiva ai fini dell’essenza dell’opera, l’editing può condurre alla formulazione di domande drammatiche per un autore, a un ripensamento dell’opera (senza per questo tradursi, in copertina, nella comparsa di un secondo autore).
        Chiedo: la contrapposizione di persona e macchina non potrebbe forse risoversi in quella fra onestà e secondi fini? E cioè nell’interrogazione relativa agli scopi dell’editing?
        (Poi, mi rendo conto che la mia avversione per presentazioni, interviste all’autore, foto-santino, rito degli autografi ecc. è puramente personale. È evidente che non amo i circoli sacrificali…)

  3. Parto ancora una volta, poiché la ritengo una mossa didatticamente opportuna, dalla domanda: chi è Saviano? E parto da questa domanda perché sono convinto che nella domanda, e non solo nella risposta, sia contenuta la chiave della nostra discussione. Infatti, ha una palmare evidenza la circostanza per cui l’immagine pubblica dell’autore di “Gomorra” fa aggio sul libro a tal punto che è difficile distinguere il libro da tale immagine e la fortuna del libro finisce con l’essere inscindibilmente legata al personaggio pubblico nel quale si è trasformato il suo autore. Certo, Saviano ha scritto cose importanti, ma non delle novità assolute che non fossero già ampiamente note grazie alle indagini sociologiche e alle inchieste giornalistiche di cui è ricca la letteratura sulla camorra e sulla mafia.
    In realtà, il ‘caso Saviano’ nasce (non dalla novità dei contenuti ma) dal fatto che Roberto Saviano è diventato l’icona della lotta contro la camorra e lo è diventato nel momento stesso in cui si è consegnato, con le braccia e i piedi completamente legati, ai ‘mass media’, ostaggio non si sa quanto renitente (soprattutto se si considerano gli enormi introiti economici di cui ha beneficiato e continua a beneficiare) di una retorica ‘bipartizan’ funzionale alla costruzione di un mito contemporaneo.
    Ecco perché nel mio intervento ho concentrato l’analisi sull’operazione letteraria, anzi editoriale, di cui Gomorra è il prodotto. So bene che questi meccanismi non caratterizzano soltanto il ‘modus operandi’ della Mondadori e del suo ‘editor’, ma più in generale l’industria culturale (letteraria, discografica o musicale che sia); tuttavia, non si può negare che Saviano debba, in modo specifico e determinante, il successo commerciale e mediatico che ha ottenuto all’abilità e alla originalità della rielaborazione effettuata dall’‘editor’.
    Ma vi è di più: io penso infatti che, al di là delle prese di posizione pubbliche e delle frequentazioni politiche dell’autore di “Gomorra” con ambienti dell’estrema destra, l’impianto e lo stile stesso del libro sono culturalmente di destra. Si tratta, a questo punto, di analizzare il contenuto della forma: il che, ne convengo, può risultare forse un po’ ostico a chi ha scarsa dimestichezza con la dialettica e con la sua applicazione alla critica letteraria (la quale nella lettura e nell’interpretazione di un testo va oltre il grezzo quesito su “che cosa dice?” e cerca di rispondere, ovviamente individuando i nessi con il contenuto, al quesito su “come lo dice?”).
    Saviano, in effetti, a guisa di un novello D’Annunzio o di un redivivo Céline, compie il suo “Voyage au bout de la nuit” presentandosi al lettore nelle vesti di chi indaga sui misfatti e sulle atrocità che si verificano nell’universo criminale della camorra e nell’ambiente sociale di Napoli e delle zone circonvicine (senza, peraltro, dire una sola parola sul sistema politico-istituzionale e sui rapporti fra tale sistema e il mondo della criminalità organizzata).
    Ma, oltre alla ‘fictio’ irrazionalistica di questo personaggio, ad un tempo demiurgico, salvifico e narcisistico, che rende indistinguibile la voce narrante sia dall’autore sia dagli altri personaggi che vengono descritti nel libro, quello che non si capisce (altro sintomo di irrazionalismo) è se “Gomorra” sia un saggio, un’inchiesta giornalistica o un romanzo. Che sia un amalgama ben riuscito lo prova a posteriori il successo commerciale, ma non è per nulla dimostrabile per mezzo di un’analisi sia contenutistica che formale del testo, il quale, dal canto suo, gioca allegramente sull’ambiguità tra finzione e realtà e sulla mescidanza di generi tra giornalismo, saggio sociologico e romanzo. Così, da queste considerazioni esce ancora una volta confermata l’impressione, ormai prossima a convertirsi in certezza, che il significato di “Gomorra” sia quello di un artefatto letterario costruito, per l’appunto, attorno a un tavolo redazionale secondo il modello (rivisto e aggiornato) del ‘feuilleton’ ottocentesco. Del resto, come non vedere che la prima vittima della costruzione di un mito contemporaneo, ‘bipartizan’ e interclassista quel tanto che serve a mettere d’accordo uno schieramento che va da Fini a Napolitano garantendo nel contempo gli interessi editoriali di Berlusconi, è (dal punto di vista del rapporto con la realtà e con la stessa attività letteraria) proprio Saviano, il quale ha finito con l’assumere un ruolo di profeta che è forse troppo pesante per le spalle di un giovane trentenne?

    1. Mi fido in toto dell’analisi del testo (dato che non ho letto Gomorra) e chiedo: se quest’opera non fosse «un artefatto letterario costruito […] attorno a un tavolo redazionale secondo il modello (rivisto e aggiornato) del ‘feuilleton’ ottocentesco» e non contenesse elementi irrazionalistici, se non fosse per impianto e stile culturalmente di destra, ma fosse «un artefatto letterario costruito […] attorno a un tavolo redazionale» secondo un diverso modello, diciamo “progressista”, “critico”, “problematico”, “sovversivo delle idee ricevute” o altro, sarebbe per questo più accettabile, più giustificabile? Oppure è un processo di scrittura di questo tipo (meccanizzato, diciamo) a essere intrinsecamente reazionario?
      Poi, un’altra questione: Mondadori vende il libro, il mercato produce l’icona Saviano, dietro l’autore c’è un processo di scrittura organizzato secondo un modello industriale e piegato a scopi reazionari. Se si potesse procedere per sottrazione, se l’opera fosse esplicitamente priva di autore, se non ci fosse alcuna icona da vendere, non sarebbe questo un passo avanti? Una volta rimasto solo il testo, l’attenzione, non più distratta dalla religione sorta attorno all’autore, non potrebbe focalizzarsi su di esso (testo) e restare forse più critica? Se le attività di editing (i meccanismi) fossero “scoperte”, esplicitate, esposte alla luce del sole, forse certi fenomeni di fascinazione collettiva potrebbero essere ostacolati.

  4. Aggiungo che Saviano ha indubbiamente il successo che ha a causa del ruolo sacrificale che ha acquisito, prima del sacrificio stesso. In questo è la novità del suo caso. I martiri nazionali di mafia e camorra (come Falcone) sono diventati tali post factum. Saviano invece ha ricevuto l’aureola prima di un evento sacrificale possibile. E come ogni vittima sacrificale tende ad unire, così tra gli adoratori di Saviano troviamo gente di destra e di sinistra. Ma più di sinistra, direi, perché il pensiero vittimario è molto più forte nella sinistra.

  5. Mah, quale spreco di “apparati”.. quando un po’ di anni fa seguivo Nazione Indiana, gli interventi di Saviano (ed anche le sue repliche ai commenti dei visitatori, devo dire) si distinguevano per intelligenza, intensità, serietà. Quando poi ho letto Gomorra, vi ho riscontrato le medesime qualità, dunque non credo affatto a questa teoria dell’editor: ritengo che Saviano fosse perfettamente in grado di confezionare un’opera del genere, che ho trovato interessante, stimolante, assolutamente dignitosa. Ovviamente essa non può fornire La Risposta ai quei mali (anzi, secondo me tende piuttosto, aldilà dell’idealismo obbligato, a suggerirli come pressoché inestirpabili) ma comunque testimonia un percorso coraggioso, certamente reso più ambiguo dal successo e dalle operazioni costruite in seguito sul “personaggio”, ma, direi, ancora del tutto rispettabile.

  6. Forme e forze del ‘cervello sociale’

    Mi scuso per il ritardo con cui intervengo, ma le questioni che Giacomo ha posto (cfr. le sue considerazioni del 27 aprile u.s.) hanno una tale importanza che ritengo necessario riprenderle e tentare, sia pure diagonalmente, di dare ad esse una risposta. Per farlo userò l’esempio di Wikipedia. Le dimensioni di tale fenomeno sono infatti tutt’altro che trascurabili, dal momento che milioni di persone recano il proprio apporto a tale ‘co-strutto’, aggregandosi in comunità spontanee di ricerca. Come tutti sanno, Wikipedia è semplicemente un’enciclopedia su Internet. La sua caratteristica principale consiste non solo nella mancanza del supporto cartaceo, ma nel fatto che ‘nessuno’ l’ha redatta secondo un progetto tradizionale, ‘nessuno’ la vende o ne trae guadagno, ‘nessuno’ ne controlla i contenuti e ‘nessuno’ ne è proprietario. Non è mai esistita un’enciclopedia cartacea, per quanto curata, professionale e autorevole, che abbia potuto mobilitare milioni di utenti-redattori per la sua realizzazione gratuita, convogliare miliardi di accessi su milioni di voci, accendere un interesse così grande quale risulta dagli articoli pubblicati sui giornali di tutto il mondo.
    Attualmente Wikipedia è un serbatoio di conoscenza in continua ebollizione, che ospita milioni e milioni di ‘voci’ in centinaia di lingue e dialetti, compilate sulla base di centinaia di milioni di interventi da milioni di persone e consultate miliardi di volte nel corso di una giornata. Inoltre, vale la pena di osservare che le cifre che quantificano la dinamica della crescita mostrano una curva esponenziale non ancora giunta al punto di flesso. Ciò significa che Wikipedia, come succede agli organismi viventi, è ancora nella prima infanzia, lontana dalla tipica curva studiata dall’auxologia, cioè dalla scienza della crescita biologica. Ciò significa che Wikipedia è un fenomeno ‘autopoietico’, che cresce e si forma da sé, è tecnologia che incomincia ad assumere caratteristiche biologiche: una rete di macchine e uomini, che non è più semplicemente un artefatto tecnologico con i suoi utenti, ma un organismo vivente, dotato di codice genetico e capacità evolutiva.
    Orbene, come non vedere che Wikipedia ha esattamente le caratteristiche di una delle tante manifestazioni di quel ‘cervello sociale’ che è stato individuato fin dalle origini dell’industrializzazione nelle macchine intese non come singolarità meccaniche ma come sistema? Se un secolo e mezzo addietro fu solo Marx a notarlo, oggi sono in molti a riconoscerlo. Orbene, Wikipedia, in quanto esempio di ‘simil-organismo’ dotato di intelligenza collettiva, ha qualcosa da insegnare ai comunisti. Si prenda in considerazione, ad esempio, l’impersonalità. Ogni contributo è rigorosamente anonimo e nessuno può quindi sapere se a redigere, putacaso, le voci su Marylin Monroe e su Heidegger siano rispettivamente un filosofo ‘cinéphile’ e un’attrice che si diletta di filosofia. Il sistema è, a modo suo, organico e chi si guadagna la propria autorità sul campo della conoscenza non può trarne profitto, può solo metterla a disposizione degli altri.
    È difficile dire quale sarà l’esito del conflitto tra l’individualismo inculcato dalla società capitalistica e l’anti-individualismo insito nel sistema di Wikipedia, così come per quanto tempo il fenomeno resisterà alla sussunzione da parte del capitalismo: i ‘server’ costano, quella mole di traffico va gestita e il mercato preme per assoggettarne l’utilizzazione al valore di scambio. Sennonché il comunista rozzo, osserva Marx, non vede nei fenomeni sociali odierni nient’altro che una possibilità di ‘riforma’ al-l’interno di questa società, mentre in essa, purché si adotti un punto di vista adeguato al livello di sviluppo delle forze produttive e si resista all’effetto di accecamento generato dall’ideologia dominante, si possono già osservare fenomeni gravidi della società futura. L’uomo capitalistico, in quanto ‘appendice reificata’ del capitale, oggi produce soltanto per il capitale e riflette questa situazione storica in tutto ciò che percepisce, gusta, sente e tocca. Egli produce, e subito aliena da sé il prodotto. Ma non è detto che debba essere sempre così. Molti sono coloro che si domandano a quale scopo e con quale spirito milioni di persone hanno dato vita a questo strano ‘cervello sociale’ che è Wikipedia: senza particolari soddisfazioni, senza guadagno, senza gloria, per il puro gusto di collaborare a un progetto collettivo. Probabilmente la risposta più vicina al vero è che queste persone hanno incominciato a ‘produrre’ da uomini per altri uomini invece che da alienati per il capitale. ‘Mutatis mutandis’, esattamente la stessa cosa (ma, nello stesso tempo, il contrario) del processo di produzione, circolazione e ricezione che ha generato un’opera come “Gomorra” e un’icona come Saviano.

    1. Analisi interessante.
      Aggiungo uno spunto: Wikipedia è perpetuamente rivedibile (cosa che implica non solo l’aggiornabilità ma anche e soprattutto la possibilità di correzione); con la diffusione dei supporti di lettura per gli e-book si può ipotizzare non solo un romanzo – meglio: un’opera scritta da un gruppo di autori, non solo una scrittura procedimentalizzata (o preceduralizzata: in ogni caso, una procedura di scrittura che permetta la collaborazione di più persone – pratica già sperimentata), ma anche opere narrative in evoluzione costante, cioè costantemente riscritte e proliferanti al proprio interno, e sempre aggiornate sul reader del lettore. Sarebbe un’interessante forma di scardinamento dell’identità dell’opera (dopo lo scardinamento dell’identità dell’autore).

      1. Non mi pare che uno scardinamento del genere sia una bella cosa. Personalmente mi fa schifo. E il bello della singolarità individuale è la libertà di rifiutare radicalmente anche processi storici “inevitabili”.

        1. In effetti si tratta di possibilità offerte da un diverso supporto, occasioni di sperimentazione, non un processo inevitabile; immagino, anzi, che la maggior parte dei lettori resterà ben legata all’idea di opera immobile, “una volta per tutte”, inappellabile.
          Specifico poi un punto: dietro il mio ipotizzare “scardinamenti” di opere e autori non sta (o quanto meno non vedo) una fascinazione dell’impermanente, del frammentario, del debole, del disseminato o altre “cose” postmoderne o postqulcosaltrodispecifico, bensì (viceversa, direi), il tentativo di recuperare (ed esplicitare) una dimensione più umana, più terra terra, della scrittura, che è fatta di influssi, correzioni, letture, riletture, consigli ecc. Insomma: artigiano vs. artista, bottega vs. genio, apprendistato vs. intuzione creatrice, chiarezza del processo di scrittura vs. mistero & fascinazione dell’ispirazione, gruppo di lavoro vs. scrittore-icona o scrittore-nume, disciplina vs. follia geniale ecc.

  7. Per me non si tratta dello “scrittore nume”. Si tratta dello scrittore-singolo. Io voglio aver a che fare, anche nell’atto della lettura, con individualità, con persone: non con entità indefinibili o “gruppi di lavoro”.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...