Dioniso, dio della follia mistica, è senza dubbio identico all’Amore. (III, 36)
Simone Weil vede in quella che lei chiama la Grecia il vero precursore del Cristianesimo. In qualche modo la storia e la carne di Israele sono sostituiti in lei dallo spiritualismo dell’India, dell’Egitto e della Grecia. Ed è evidente come lo spargimento di sangue reale del rito nelle sue pagine sia misti-ficato simbolicamente. Affermare l’identità di Dioniso e Amore significa infatti allontanare lo sguardo dallo sparagmos, che del dionisismo rappresenta il nucleo primigenio e insuperabile. Significa non porre apertamente la questione del sacrificio, del cuore violento della religione.
Ma c’è qui una rivelazione: il sacrificio non può mai essere un oggetto di analisi da parte di una vittima ad esso consenziente. E Simone Weil ha scelto di collocarsi nel luogo della vittima, nel centro sacrificale, consentendo al suo proprio annientamento. La sua brama di decreazione, di sparizione dell’io, di rinuncia all’essere, è l’analogo del cenno di assenso cui il bue veniva indotto dallo spruzzo d’acqua fredda cui lo sottoponeva il sacrificatore. Qualcosa di molto diverso dalla passione di Gesù nell’Orto degli Olivi.